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Professore, ellenista, amico carissimo

Luciano Zampese

Da bambino andavo a Messa, la Messa del fanciullo prima e poi quella omnibus, senza distinzione. Il tempo dopo pochi minuti, in genere al mea culpa, prendeva una botta e si bloccava. Allora l’unica fuga possibile era alzare gli occhi al soffitto, dove c’era un immenso affresco pieno di gente in trionfo verso Dio, che trionfava più di tutti quasi sopra l’altare. 

Tutti nel dipinto guardavano verso Dio, e non facevano caso a te che li guardavi, tutti tranne qualcosa in basso a sinistra, tra le gambe di uno con la fionda: lì c’era una testa tagliata, gigantesca, vivissima, con i capelli molto molto spettinati che ti fissava, ti fissava con occhi spalancati e violenti, a volte sembrava voler terrorizzarti a volte sembrava lei nel terrore. Quello credo è stato il mio primo incontro con il dettaglio: a quella testa era successo qualcosa, non partecipava al trionfo, suggeriva una storia già accaduta, altri eventi, forse anche altri luoghi. 

Tanto tempo dopo ho ritrovato sempre in basso a sinistra un’altra testa tagliata, in un affresco ad Arezzo: anche quella sotto a delle gambe, anche di un cavallo. Lì si capiva un po’ di più cos’era successo, perché c’erano soldati, e verso il centro del quadro stanno per tagliarne un’altra di testa. Insomma, certi dettagli tendono naturalmente ad esserlo, e alcuni tendono anche a uscire dal tempo e dal luogo raccolto nella cornice. Non si tratta tanto di ingrandire qualcosa per vederlo meglio, ma di isolarlo, di riconoscere dei confini suggeriti dal pittore, alcuni evidenti, altri meno; ritagliare l’immagine e darle una nuova unità, completezza, significato: la prima testa aveva un nome, ma era più un simbolo, la seconda era anonima, e il suo sguardo era vuoto e perfettamente umano. 

In un altro grande dipinto, nella città dove sono nato, si vedono sempre al margine estremo, questa volta a destra, due giovani intenti a parlare tra loro: il tema è una glorificazione, dominato dalla figura dell’Inquisitore, che poi è il ‘glorificato’. Questi due giovani quasi non si vedono, sono in penombra: Neri Pozza, uno straordinario artista, scrittore, incisore, editore, nella sua guida artistica alla città, dopo la riproduzione del dipinto, fa seguire il dettaglio dei due giovani: non sembrano badare tanto alla Glorificazione, sembrano piuttosto conversare tra di loro dei fatti loro: improvvisamente estratti dall’ombra ci appaiono più veri del vero.


Ma non tutti i dettagli sono così semplici, carichi di una loro storia o cronaca, di una loro vita. Se si prova a giocare con l’occhio del quadrante d’orologio, ecco che si assiste all’epifania di una ninfea di Monet (proprio quella non un’altra), di quel frutto di Arcimboldo, quella stella di van Gogh, l’indice di Dio, quel pezzo di lancia spezzata di Paolo Uccello, quel punto di trasparenza della Primavera, quel luogo tra gli infiniti microcosmi di Bosch, quella venatura del marmo, del legno, il ramo d’edera, la nuvola, tutto ciò che l’arte di un artista abbia deciso in una forma; ma i confini del dettaglio possono essere decisi da uno sguardo sufficientemente commosso e appassionato, si può vedere, voler vedere un colore, una pennellata, un rilievo di materia che fissa l’ultimo movimento del pennello; e soprattutto quel breve giro che tra tutti gli infiniti orizzonti possibili entro quel capolavoro che amiamo, raccoglie misteriosamente qualcosa di noi, ci restituisce il sublime di un nostro sentimento.